Da settembre 2021 padre Davide Traina è la guida della piccola comunità dei Domenicani a Bolzano e il parroco della parrocchia Cristo Re. Nel 2022 è anche entrato a far parte della commissione diocesana per i problemi sociali e il lavoro. Gli abbiamo posto qualche domanda sullo sviluppo della carità in una comunità cristiana, sulla sua idea di Caritas parrocchiale e sulla sua nuova comunità parrocchiale.
Quando gli chiedo cosa significa per lui carità cristiana, risponde con calma e pacatezza, ma dietro le sue parole si percepisce la fede profonda e una carità attiva, meditata e fondata nella preghiera.
“La carità è liberazione. L’amore cristiano deve innanzitutto liberare la comunità e le singole persone dall’indifferenza verso gli altri, e chi è in una situazione difficile dalla sua condizione di disagio. Per questo il primo passo per una Caritas parrocchiale è sensibilizzare lo sguardo della propria comunità. La nostra povertà spesso si chiama invisibilità. Sono invisibili gli anziani soli, che stanno in casa e non escono più. Non ci accorgiamo della povertà delle famiglie, una povertà relazionale ma anche materiale, sul territorio parrocchiale gli affitti sono molto alti e basta poco per trovarsi in difficoltà e non riuscire a far fronte alle spese. Ci sono poi gli accattoni, alcuni sono di passaggio, ma ci sono anche persone con un disagio profondo.
Non bisogna avere la pretesa di trovare una soluzione, avere fretta di mandare la persona che chiede aiuto di qua o di là. Quello che conta non è l’azione, ma lo sguardo sulla persona, la vicinanza. Ricordare a noi stessi e alla persona che abbiamo di fronte che essa non è il suo problema, ma un fratello o una sorella. Vorrei che fosse l’intera parrocchia ad avere questo sguardo, perché è della fede, della spiritualità.”
Gli chiedo di farmi qualche esempio, e padre Davide non ha bisogno di pensarci molto. “Ho fatto amicizia con M., che dorme per strada, beve e non si fa aiutare facilmente. Il nostro rapporto non è basato sulla sua richiesta di aiuto ma sull’ascolto e sul rispetto reciproco. Certo, questo richiede tempo, e per questo bisogna unire le forze. Anche scoprire la solitudine degli anziani richiede tempo. Non riesco a capacitarmi del fatto che, in una parrocchia che conta 8.500 abitanti, per la maggior parte anziani, soltanto 20 chiedono la comunione a casa. Vorrei capire, conoscere meglio la mia comunità: sto pensando di riproporre la benedizione delle case, quella è un’occasione per incontrare le famiglie, per conoscere la realtà delle persone. In parrocchia, intanto, c’è una commissione carità formata da 5 persone, e il 20 novembre sono iniziati alcuni incontri di riflessione su temi sociali che mi sembrano importanti e attuali, come la violenza sulle donne, le dipendenze e il disagio giovanile, la malattia e il lutto, l’impegno e la responsabilità, e un incontro per gli anziani intitolato ‘prudenti ma non indifferenti’.”
Obietto che, però, l’ascolto e lo sguardo attento non sempre bastano a risolvere le difficoltà concrete: “Certo che no” è la sua risposta. “Per questo la comunità parrocchiale deve collaborare con l’Ente pubblico, con i servizi sociali. Stiamo sul territorio, offriamo ciò che possiamo, e uniamo le forze per lavorare alla maturazione umana delle persone. Ma non possiamo agire senza riflettere, e soprattutto senza pregarci su”.