“Negli anni ‘90, Hiv e Aids provocavano ancora molte vittime, soprattutto fra persone giovani. È in quel contesto che sono nati il servizio Iris, per alleviare la sofferenza psicologica delle persone e aiutarle a reggere il peso della morte, e Casa Emmaus, per fornire un’assistenza capace di andare oltre l’aspetto puramente medico della malattia”, ha ricordato il direttore della Caritas Franz Kripp, ricostruendo la storia dei due servizi citando Goethe: “Qui io sono, qui posso essere uomo.”
E in 30 anni di strada se n’è fatta molta: da quando i primi volontari hanno completato la propria formazione fino ad oggi, il servizio Iris ha incontrato oltre 1.500 persone, ha svolto più di 5.000 ore di terapia individuale, ha organizzato formazioni e ha costruito relazioni di sostegno e di ascolto insieme a Casa Emmaus, che a sua volta in 25 anni ha ospitato circa 200 persone, fra uomini e donne sieropositivi o malati di Aids, sviluppando per ognuno un progetto individualizzato, attento ai vissuti e ai bisogni specifici.
Una storia quella dei due servizi, da tempo intrecciata con il reparto di malattie infettive dell’ospedale di Bolzano, come testimoniato anche dalla Dott.ssa Elke Maria Erne, primaria del reparto, durante la conferenza stampa. È stato poi messo in luce come l’avvento delle terapie antiretrovirali abbia portato ad un notevole miglioramento della qualità di vita fra le persone sieropositive. E se oggi l’Aids può definirsi una malattia cronica, è cambiata molto anche l’attenzione nei confronti del virus dell’Hiv, con l’effetto negativo che se ne parla ormai troppo poco, mentre i rischi restano sempre in agguato.
Contrarre il virus dell’Hiv, continua inoltre ad essere fortemente stigmatizzante, con conseguenze che non riguardano soltanto il piano medico, ma anche quello dei pregiudizi. “Dalla visibilità morbosa degli inizi, di grande risonanza mediatica, si è passati all’invisibilità di oggi. Questi atteggiamenti sono però figli della stessa cultura del ‘mettere fuori’ ed è questa che cerchiamo di contrastare con il nostro lavoro” ha spiegato Pierpaolo Patrizi, psicologo e psicoterapeuta alla guida di Iris. Per questo aspetto una risorsa preziosa viene dal sostegno fornito dai volontari, come ha testimoniato anche Iris Fera Franceschini, volontaria del servizio Iris.
Riaccendere i riflettori sulle malattie infettive, dunque, per contrastare disinformazione e forme di esclusione. Per la Caritas altoatesina questo ha significato rispondere con un’apertura concreta verso l’altro, basata sull’ascolto dei bisogni sempre in evoluzione delle persone. Come ha spiegato Katiuscia Cabras, responsabile di Casa Emmaus, “Il nostro compito oggi non è solo quello di accompagnare alla morte, ma è sempre più accompagnare alla vita, guardando agli aspetti sociali di chi convive con la malattia, facendo tutto il possibile per costruire esperienze positive ai nostri ospiti”. L’auspicio inoltre è quello di poter tornare, dopo due anni e mezzo di coronavirus, ad attività che facilitino l’incontro fra gli ospiti della struttura e il resto della comunità. Ne è stato un esempio il festival musicale organizzato lo scorso 11 giugno a Casa Emmaus, e presto si spera di tornare agli incontri con le scuole o con i pellegrini diretti a Pietralba, per i quali era stato allestito un piccolo punto di ristoro in epoca pre Covid-19.
“Infine vorrei ringraziare tutti i volontari e le volontarie e gli operatori Caritas dei due servizi che si sono impegnati in questi anni per combattere i pregiudizi e favorire l’inclusione sociale delle persone sieropositive o malate di Aids. Di fondamentale importanza è anche la stretta collaborazione e il lavoro in rete che Iris ed Emmaus hanno instaurato non solo con il reparto di malattie infettive dell’ospedale di Bolzano, ma anche con i servizi territoriali per le dipendenze, il centro di salute mentale e l’Ufficio per l’esecuzione delle pene esterne (Uepe)” ha concluso Danilo Tucconi, responsabile dell’area “Abitare” della Caritas, sottolineando il lavoro di rete svolto da tutti gli attori.